CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA MARIA ASSUNTA
DALLE ORIGINI AL XVI SECOLO
Appare oggi veramente difficile dire qualcosa di certo sulle origini della chiesa di Erve. Nessun edificio sacro in località Val d'Erve è citato nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero, utile per verificare I'esistenza di una qualsiasi chiesa in diocesi di Milano negli anni attorno al 1300.
Verosimilmente la prima fondazione di un edificio di culto risale ad un periodo compreso fra il XIV e il XV secolo.
Negli Atti della visita pastorale del Cardinale Gabriele Sforza, avvenuta nel 1455, è registrata una chiesa in territorio di Erve, dedicata a Santa Maria Assunta. Il 12 novembre 1506 la chiesa di Erve viene staccata dalla parrocchia di San Lorenzo di Rossino ed eretta in parrocchia autonoma da Ippolito I d'Este, cardinale di Milano.
Nell'atto di fondazione si dispone che i "vicini", cioè i membri della comunità, eleggano un sacerdote idoneo e a loro gradito; essi si impegnano a provvedere al suo sostentamento tassandosi con una quota annua che va a costituire lo stipendio del parroco, alla quale si aggiungono somme più o meno consistenti provenienti da lasciti e legati.
Alla chiesa di Rossino restano dovute due once di incenso ogni anno durante la festa patronale di San Lorenzo.
Dal 1428 anche Erve entra a far parte della repubblica di Venezia, ma resta nella diocesi di Milano e lo rimane fino alla fine del Settecento. La Pieve all'interno della quale rientra Erve è quella di Garlate fino al 1574, quando, con un decreto datato 24 novembre, Carlo Borromeo stabilisce il trasferimento del capo-pieve da Garlate a Olginate.
Nel 1566 raggiunge la parrocchiale di Santa Maria Assunta il padre predicatore Giovanni Battista, per ordine dell' Arcivescovo Carlo Borromeo. Gli atti della visita si aprono, come accadrà per molti altri visitatori, con la descrizione dell'asperità del luogo e delle difficoltà incontrate per raggiungere Erve: "Ecclesia Sancte Marie Vaffis derve consrrucra supra montem ad quam difficilis est accessus imo non sine discrimine vitae iri potest" (Chiesa di Santa Maria di Valderve, costruita sopra una roccia, per raggiungere la quale difficile è il passaggio e anzi non si può andarvi senza pericolo di vita).
Il visitatore, osservando I'edificio, nota che la chiesa è piccola, ma ben costruita. E' presente un semplice tabernacolo ligneo e l'altare maggiore è ornato da una croce con figure d'argento. Gli altari presenti sono cinque, di cui due, costruiti in medio ecclesie, sono indecenti e devono essere abbattuti, insieme ad un altro altare presente all'esterno della chiesa. Manca il battistero che si prescrive di costruire, cosi come il confessionale. Riguardo alle aperture apprendiamo solo che presso I'altare maggiore esisteva una finestra. La chiesa non era dotata di un campanile, ma di due colonne sul frontespizio, reggenti le campane. C'era il cimitero, dove però pascolavano gli animali, in quanto mancava un muro di recinzione. Erano presenti sia la sacrestia che la casa parrocchiale. Il parroco era Antonio de Arola de Averara, che riceveva dalla vicinantia 140 libbre. Presso la chiesa già esisteva la Confraternitadel Santissimo Sacramento.
Gli Atti della visita del 1569 aggiungono particolari importanti riguardo all'aspetto della chiesa. In primo luogo vengono fornite le dimensioni dell'edificio: esso era lungo 30 passi e largo 12, cioè assai più piccolo dell'edificio attuale. Inoltre sulla facciata principale era presente un oculo, ovvero una classica finestra di forma rotonda. La chiesa era anche dotata di un accesso laterale che prevedeva di scendere tre gradini. Fra le note amministrative e pastorali, conservate insieme agli Atti della suddetta visita, compare anche la richiesta del parroco don Antonio di poter "piliare certe pietre de ditta chiesa et de ditto cimiterio per fabricare uno campanilo alo uso de ditta chiesa". Inoltre egli domanda di poter "portar il corpo dil nostro signore fora de ditta chiesa et circa il cimiterio la terzia dominica de acaduno mise e nel giorno del corpus domini per la devozione dil populo".
Nel 1570, sempre per ordine di Carlo Borromeo, giunge in visita pastorale padre Leonetto Chiavone, che, nei suoi Atti, ci dà maggiori informazioni riguardo agli altari presenti nella chiesa: I'altare maggiore non è dotato di "icona", ma è posto in una cappella dipinta sulle pareti e sulla volta. Sulla destra della chiesa si trova I'altare di Sant' Antonio e sulla sinistra quello di Santa Maria, entrambi all'interno di cappelle in cui le pitture murali sostituiscono l'icona". Vengono ribadite le misure della chiesa, questa volta espresse in braccia, ma grosso modo corrispondenti alle precedenti: I'edificio è lungo 22 braccia e largo 14, oltre alla cappella maggiore. Nella chiesa manca ancora il battistero, ma è stato costruito il confessionale. Il cimitero è stato chiuso da un muro, come richiesto nelle visite pastorali precedenti. Si è appena iniziato ad edificare il campanile, che però non è ancora ultimato: molto probabilmente a questa fase costruttiva appartengono le finestre ogivali ritrovate sul fusto della torre campanaria e lasciate a vista, durante i restauri del 1982. Qualche informazione aggiuntiva ci è data riguardo alla sacrestia, abbastanza bella e coperta a volta. La casa del parroco è costituita da due locali al piano inferiore e due a piano superiore, dove si trova anche un granaio. Vi sono annessi un cortile e un orto e negli Atti successivi si parlerà anche di cella vinaria, cioè di cantina. Nel 1570 a Erve non c'è più un parroco, ma soltanto un proparroco, Donato Cassina, che riceve 180 lire imperiali annue in moneta bergamasca dagli abitanti del paese. Negli anni successivi la situazione del clero va peggiorando e ripetute lettere di lamentela sono rivolte all'arcivescovo Carlo Borromeo. In una, datata 1574, si chiede di sostituire il sacerdote Ludovico Crivelli, che allontanatosi dal paese per ragioni sconosciute, aveva lasciato i parrocchiani in grande difficoltà: l'asperità del luogo rendeva quasi impossibile raggiungere altre chiese. In un'altra, del 1578, si lamenta la partenza di un altro sacerdote, Ambrogio Negroni da Ello di Cantù e nel gennaio 1579 si insiste con il vescovo perchè mandi un prete. Gli Ervesi si sentono come "pechore senza pastore che vanno erante". Infine, nel 1583 ancora i sindaci si rivolgono al cardinale perchè il parroco è partito senza più fare ritorno.
Nello stesso anno giunge in visita ad Erve Monsignor Giovanni Maria Massio, altro delegato di Carlo Borromeo; egli nota che è stato costruito il battistero, vicino al frontespizio della chiesa, sul lato Nord: in realtà sembra di capire che si tratti del solo fonte battesimale e che la cappella vera e propria sia edificata qualche anno dopo e solo più avanti munita di cancelli lignei per separarla dalla navata. Monsignor Massio registra, inoltre, che il portale maggiore non si trova esattamente al centro della facciata della chiesa, cosi come non è nel mezzo la finestra presente sulla stessa facciata. L'altare dedicato a Santa Maria risulta sul lato Nord della chiesa, ma il Massio afferma essere dedicato anche a Santa Caterina, mentre egli non fa alcun cenno all'altare di Sant'Antonio. Negli Atti della visita vicariale del 1585 ricompare un secondo altare, ma con la dedicazione a San Rocco. Comunque sembra di poter dire che la chiesa più antica doveva avere lo stesso orientamento dell'attuale, con la facciata ad Ovest e I'abside ad Est, anche se forse anche I'antico edificio non era perfettamente in asse con i punti cardinali, ma si adattava alla conformazione del terreno. Anche la casa parrocchiale è detta trovarsi a Nord, come quella di oggi.
Dalla visita vicariale del 1592 si apprendono alcuni particolari sulla decorazione della zona presbiteriale: la cappella maggiore, che è divisa dal resto dell'edificio da cancelli di ferro, presenta un arcone d'accesso, la cui trave è dipinta e ornata da un crocifisso; presso il tabernacolo ci sono due statue dorate di angeli. La sacrestia è posta a Nord e si accede ad essa tramite una porta che dà sull'altare maggiore. Nella chiesa sono presenti quattro sepolture. Il parroco è Dioniso de Iudicibus, originario della pieve di Oggiono.
L'EPOCA DI FEDERICO BORROMEO E IL CULTO DI SAN CARLO
Il XVII secolo si apre con un documento, redatto dagli uomini di Erve e indirizzato al Cardinale, in cui vengono manifestate le difficoltà economiche nelle quali versava la piccola comunità.
Il cardinale Federico Borromeo in visita pastorale, mentre "scende sub arbore castaneas (sic) da Erve a Rossino", riceve una delegazione di Ervesi i quali affermano esistere su fondi, boschi e altri beni, molti legati dei loro antenati con I'onere di distribuire sale e pane agli abitanti, sia poveri che ricchi e di consegnare il denaro rimanente al parroco. Poichè non ci sono documenti ad essi relativi, benchè questi legati esistano e siano molto antichi, gli uomini di Erve ne chiedono al Cardinale I'approvazione. Il prelato si trova però in difficoltà, data la mancanza di testimonianze scritte.
Le precarie condizioni di vita, non impedivano ai vicini di investire nell'abbellimento della chiesa. Negli Atti della visita del 1613, compiuta da Monsignor Maggiolino, delegato di Federico Borromeo, si fa cenno per la prima volta alla decorazione parietale della cappella di Santa Maria, con varie figure, e alla presenza di un'immagine della Beata Vergine con gli scolari della scuola del Santo Rosario, che non è chiaro se si trattasse di un affresco o di una tela. Inoltre, si fa cenno alla forma delle cappelle: sia quella maggiore che quella di Santa Maria sono ad emiciclo.
Un'altra novità è la presenza di una prima traccia del culto di San Carlo: da un arcone al centro della chiesa pende un'immagine del Santo, che poi apprendiamo essere dipinta a olio su una grande tela. Altri manufatti sono registrati come presenti nella chiesa: fuori dalla cappella maggiore, dalla parte del vangelo, è posto un confessionale in legno di noce; sopra di esso, infisso nel muro, c'è un pulpito, anch'esso composto da tavole di noce, al quale si sale tramite una scala. Come ultima notazione utile per ricostruire la fisionomia della chiesa, gli Atti riportano che a meta della parete meridionale è stata aperta una finestra, prima non esistente.
I due sacerdoti Antonio Maria Madio (Maggi) e Antonio Bullus (Bullo) hanno un compito non facile nell'amministrare la parrocchia, che "pluribus capsinis constat" cioè vede la presenza di molti cascinali sparsi, con fedeli difficili da raggiungere e da coinvolgere nella vita religiosa.
Nel 1615, nei suoi Decreta, Federico Borromeo chiede che la cappella del battistero venga ornata di un'immagine sacra che rappresenti San Giovanni che battezza Cristo, realizzata negli anni successivi. Auspica alcuni interventi di miglioramento dell'edificio. In primo luogo si vuole l'apertura di due punti luce sulla facciata principale della chiesa, ad affiancare un nuovo grande portale maggiore posto al centro: esso deve sostituire quello esistente, disassato, e conferire maggiore ordine e armonia all'edificio. Per far fronte ai danni provocati dall'umidità si chiede, inoltre, che il cimitero venga allargato verso Nord e la terra all'esterno delle cappelle della Beata Vergine e del Battistero venga abbassata al fine di preservare i muri perimetrali. All'interno dell'edificio si propone la chiusura della porta esistente fra presbiterio e sacrestia perchè scomoda per i celebranti e l'apertura di un nuovo accesso più consono alle esigenze della liturgia. Si mole inoltre I'allargamento della cappella del Rosario verso Nord, affinchè assuma una forma semiquadrata e possa contenere, oltre all'altare, un quadro della Madonna del Santissimo Rosario, che deve essere eseguito al più presto. Ma la modifica più interessante è forse quella relativa all'edificazione, accanto alla cappella del Rosario di una cappella, di struttura simile, dedicata a San Carlo, che si dice grandemente desiderata dagli uomini di Erve e che verrà eretta negli anni successivi. Questo auspicato intervento va inquadrato nella generale grande diffusione del culto e dell'iconografia di San Carlo in Diocesi di Milano, di cui il nipote Federico Borromeo è in buona parte responsabile.
Gli Atti del 1613 segnalavano come presente nella chiesa un dipinto con l'immagine di San Carlo. In seguito, quando nel 1687 nella valle si scatena "una influenza di malattie quasi incurabili per le quali ... sono perite molte persone", la comunità di Erve decide all'unanimità di far celebrare nei giorni festivi dei Santi Rocco e Carlo due Messe per ciascun giorno. Tutti 51 i voti dei capifamiglia, riuniti nella piazza e nel cimitero davanti alla Chiesa, sono favorevoli: fortemente si crede da una parte nella protezione di San Rocco, sempre invocato contro la peste ed ogni tipo di malanno degli uomini e degli animali, dall'altra nell'aiuto di San Carlo che in vita tanto ha fatto per i fedeli della sua diocesi. Anche la pietà popolare ha volute appropriarsi della figura di San Carlo e ha, un po' ingenuamente, ricercato ovunque la sua presenza: per questo presso un sentiero che sale verso il Resegone c'è il cosiddetto "fontanino di San Carlo", dove si dice che il vescovo abbia bevuto in occasione della sua Visita pastorale.
Sulla roccia del Corno si vuole invece addirittura ritrovare I'impronta del ginocchio di San Carlo quando si mise a pregare prima di lasciare Erve.
VICENDE OTTO-NOVECENTESCHE
Il XIX secolo, mentre fervono i lavori per I'abbellimento della chiesa parrocchiale, si apre ad Erve con un evento ritenuto miracoloso, riportato dal parroco Luigi Costantino Valsecchi sulle pagine del registro della Confraternita del Santissimo Rosario.
Il 9 aprile del 1808 scoppia in paese un terribile incendio, che viene così descritto: "alle ore 23 da Maria moglie di Carlo Valsecchi e da Marianna moglie di Giovanni Valsecchi fu attaccato il fuoco a quella materia umida che si raccoglie a purgare li prati o selve ... verso le ore 24 insorse un vento straordinario e impetuoso in guisa che nel termine di due ore aveva investito più di 40 alberi di castagne d'alto fusto". In poco tempo il fuoco raggiunge le frazioni di Nesolio e Pratomalone. La gente accorre non per difendere le proprie case dal fuoco giacche non è possibile fare nulla, ma per assistere allo spettacolo terribile: era l'immagine de' spettacoli del crudel Nerone, per non dire dell'Inferno". A questo punto il parroco raccoglie i fedeli in chiesa, unico luogo che pare sicuro dalle fiamme ed espone il Santissimo, invitando la comunità a raccogliersi in preghiera: miracolosamente il fuoco divoratore si placa.
Per quanto riguarda le opere messe in atto presso la chiesa di Santa Maria Assunta, nel 1813 il parroco acquista a nome della comunità di Erve, dal fabbro patentato Giuseppe Maria Agrati di Almenno San Bartolomeo, un orologio, destinato ad essere collocato sul campanile della parrocchiale.
Il 29 settembre del 1857 la chiesa viene consacrata e dedicata a Santa Maria Assunta dal vescovo Pier Luigi Speranza e nel 1871 la parrocchia di Erve viene consacrata al Sacro Cuore. Nel 1853 il Vicario Capitolare di Bergamo autorizza l'erezione all'interno della chiesa della Via Crucis, che però deve essere già presente nel 1829, quando si paga un certo Milesi Igino per il suo restauro. Nel 1883 il marmorino Scannagatti Carlo, secondo il libro dei conti della chiesa, riceve cospicui pagamenti "a conto altare", anche se non è chiaro quali siano i lavori da lui portati avanti.
Il XX secolo è caratterizzato da cospicui interventi di restauro che modificano soprattutto l'aspetto interno della chiesa, fino a farle assumere il volto attuale.
Nel 1907 viene firmato un contratto fra il parroco don Francesco Varinelli, affiancato da una commissione di laici, e il signor Giovanni Cima di Lecco, responsabile dei lavori di restauro.
L'intervento più consistente riguarda, però, I'affrescatura della volta, che viene affidata a Luigi Morgari. Al pittore si commissionano tre affreschi nelle tre campate della chiesa, che evidentemente vanno a ricoprire delle figure sottostanti, in quanto si dice "quello di mezzo da ingrandire I'esistente, con larga fascia e cornice a colori e gli altri due come allo stato presente di grandezza".
Nel 1926 una violenta scossa di terremoto interessa l'abitato di Erve e richiede nuovi restauri nella chiesa, sostenuti dal parroco Bassano Valsecchi. In quell'anno sono inoltre pagate piastre di marmo per l'altare maggiore, mentre si procede all'ampliamento del sagrato antistante la chiesa verso Nord.
Nel 1929 sono registrati pagamenti per le statue rappresentanti San Rocco, Sant'Antonio, San Carlo e San Francesco, collocate nelle nicchie angolari delle due campate della chiesa.
Nel 1941 le campane della parrocchiale di Erve, come d'altronde tutte quelle del territorio, sono requisite per motivi bellici. Verranno restituite solo nel 1954 e ripristinate dalla ditta Luigi d'Adda fu Francesco di Crema, nel corso di una solenne cerimonia avvenuta il 16 agosto alla presenza del vescovo Giuseppe Piazzi.
Fra il 1942 e il 1944 vengono raccolte offerte per il restauro degli altari laterali e per una nuova tinteggiatura delle pareti.
Nell'Archivio parrocchiale si conserva la ricevuta di pagamento per il rifacimento in marmo dell'altare dei Santi e per I'esecuzione dei lampadari dell'altare maggiore. Intanto nel 1940 la Curia di Bergamo autorizza I'uso della luce elettrica in sostituzione dell'olio per la lampada del Santissimo Sacramento: soltanto fra il 1988 e il 1989 l'intera chiesa sarà dotata di un impianto elettrico.
Nel 1951 viene rifatto il pavimento del presbiterio ad opera della ditta Comana di Bergamo, mentre negli anni '60 si procede al rinnovamento del pavimento della navata e alla collocazione di nuove panche e inginocchiatoi.
Intanto nel 1959 era avvenuta la solenne consacrazione della parrocchia al Cuore Immacolato di Maria.
Nel 1966 il parroco Angelo Artina richiede I'abbattimento di parte della balaustra di accesso al presbiterio per poter collocare una nuova mensa che, in ottemperanza ai dettami del Concilio Vaticano II, permetta al prete di celebrare la messa rivolto verso i fedeli: fortunatamente l' Ufficio arte sacra della Curia Vescovile di Bergamo non dà la sua approvazione e la collocazione della mensa lignea, sostituita solo nel 1999 da un manufatto in muratura, avviene senza sconvolgimenti del precedente assetto presbiteriale.
Nel 1982 si restaura il campanile. Sulla vecchia cupola che viene sostituita si legge la data 1897, mentre durante la demolizione della scala interna si ritrova una pietra decorata a motivi floreali, utilizzata come primo gradino e che, in base alla forma, si suppone avesse in passato funzione di balaustra.
Dal 1993 le campane di Erve risultano elettrificate, mentre fra il 1996 e il 1997 si avvia il rifacimento del manto di copertura della parrocchiale.
Nel 1997 inizia a farsi strada, presso il parroco don Stefano Cantù, I'idea che siano utili lavori di ristrutturazione all'interno della parrocchiale, ma l'intervento proposto alla Sovrintendenza è ritenuto troppo invasivo e i lavori che verranno effettivamente eseguiti nel 1999 saranno di solo carattere conservativo.
Nello stesso anno, si procede al restauro della zona presbiteriale ad opera di Abramo Nembrini di Mozzo (Bergamo) e con dipinti di Stefano Regonesi; viene collocata la nuova mensa marmorea su progetto dello studio Mauri e Galbusera di Merate (Lecco) e su esecuzione della stessa ditta Nembrini.
Da segnalare:
Il crocefisso intagliato posto sull'architrave della Chiesa, opera di Pietro Teraneo di Bergamo (1788)
L'altare maggiore opera di un "onesto marmorino" (1789 - 1790)
Il coro con gli stagli intagliati restaurati nel 1996
Pala di San Carlo con altri Santi, di Mauro Picenardi (1794)
Pala con la Madonna del Rosario, San Domenico e i quindici Misteri, opera di Carlo Antonio Procaccini, restaurata ed adattata al formato del nuovo altare dal pittore Tommaso Personelli nel 1807.
Tra le supellettili sacre notevole è una Pace con deposizione in bronzo cesellato del 1500. Particolare è poi l'iscrizione sulla facciata esterna che ricorda l'aggregazione alla Santa Basilica di San Pietro a Roma, avvenuta il 13 Aprile 1787: ANNO / DOMINI / MDCCXIIIC. DIE XIII / APRILIS ECCLESIA HAEC / AGGREGATA FUIT SACRO / SANCTAE BASILICAE PRINCIP / IS. APOSTOLORUM DE. ERBE / & . AD . PARTICIPATIONEM / ILLIUS. INDUL-
CHIESA SUSSIDIARIA DELLA BEATA VERGINE DI LOURDES
La piccola Chiesa dedicata alla Beata Vergine di Lourdes, sorge lateralmente alla piazza antistante la parrocchiale. Venne edificata in anni vicini al 1893, come dimostra la fattura di pagamento, datata a quell'anno, per la fornitura di materiali di costruzione, assolta dal parroco don Luigi Malighetti. Nel 1930 venne edificato il campanile e vennero collocate, dalla ditta Bianchi di Varese, le campane, che furono requisite in tempo di guerra e restituite solo nel 1954, L'edificio fu oggetto di restauri già a metà degli anni '30 del '900. Negli anni '40 venne smontata la grotta tufacea con la Madonna e Bernadette, che sorgeva nell'area del presbiterio. Fra il 1989 e 1992 la chiesetta è stata interessata da restauri conservativi e tesi a riportare l'edificio alla sua semplicità originaria.